La traduzionedellibro di Cynan Jones La lunga siccità è stata una di quelle esperienze frustranti ed esaltanti che capitano spesso – sempre? – ai traduttori
professionisti. Esaltante perché è un piccolo gioiello, più vicino alla poesia che alla prosa, frustrante perché l’autore usa una lingua scarna, pulita,
prevalentemente mono e bisillabica. A confronto il nostro italiano, così ricco di polisillabi, sembra una vecchia signora grassa e lenta. Ho cercato di fare del mio meglio, scegliendo i corrispettivi più “magri”, asciugando gli aggettivi se erano troppi, a volte cambiando la punteggiatura e in alcuni casi persino i tempi, per evitare il nostro campione di grassezza e lentezza, il passato remoto, soprattutto alla prima plurale. Il tutto con il consenso dell’autore.
Utilissime le passeggiate con lui – bastone e stivali di gomma obbligatori – in mezzo alla natura: una semplice siepe diventava un microcosmo, la palude un labirinto insalubre, il bosco un mondo imprevedibile e affascinante. Come la lingua di Jones, tutte cose apparentemente ovvie, quotidiane, ma difficili da mettere su carta: ho tentato di intrecciare paesaggi e sensazioni dell’autore con parole mie, in penombra e in silenzio. E alla fine ho fatto come i tosatori, per non lasciare nulla di superfluo.