Ho ricevuto in regalo tutti i libri di Mary Ruefle dal suo editor, più o meno tre anni fa. È stato amore a prima vista. Una montagna di libri vicini vicini in borsa, poesia e prosa. Non un amore canonico, passionale, no, ma una cosa fatta di strane affinità elettive e un costante senso di smarrimento che non trovavo sgradevole, forse perché mi piace perdermi.
La scrittura di Ruefle può provocare uno strano timore reverenziale – il misto di paura e fascino che forse proverei davanti a un marziano – però a volte ti fa scoppiare a ridere. O almeno a me capita spesso. E soprattutto ti fa perdere l’orientamento. A un certo punto non capisci più dove sei e segui solo le immagini come i sassolini e le briciole di Hansel e Gretel. È affascinante se leggi e basta, un po’ una fregatura se devi tradurre.
Le poesie me le ero lette in un sorso appena avevo avuto i libri in mano. La sensazione di perdersi c’era, ma in quella forma me l’aspettavo, e mi dava chiavi di ritmo ma non soluzioni sensate per tradurre.
Ho deciso quindi di lavorare su pezzi a caso, uno sui colori e uno con una struttura più convenzionale – se mai Ruefle si può definire convenzionale – per capire cosa poteva farmi da sassolino oltre alle immagini. Perché io le immagini le vedevo bene, e le sentivo, ma dovevo stare nella griglia della scrittura, che non è mai colloquiale, ma sempre precisa e algida e severa nella forma – d’altronde in America la sua prosa è venduta nel settore poesia, oltre a essere insegnata in tantissimi master di scrittura creativa – ma poi in parecchi punti fa ridere o rimanere a bocca aperta. Tipo, quando scrive di menopausa, ‘Quando impazzisci non hai la minima propensione a leggere quello che Foucault ha scritto a proposito di cultura e pazzia’. Oppure “Una cosa è certa: non vorrei essere un albero di Natale.” O quando parla di teste rimpicciolite chiedendosi, sinceramente stupita, come mai la gente non ci pensa spesso.
Dopo la prima stesura di qualche frammento non ero soddisfatta. Allora mi sono messa a guardare i video di lei su YouTube. Dice cose serissime con un’espressione impassibile – la classica deadpan, letteralmente faccia morta – ma anche furba e allerta, sembra una volpe, e poi qua e là inserisce delle battute rimanendo seria seria, magari con l’aggiunta di un piccolo sorriso. A un certo punto durante una conferenza dice: ‘Gli artisti sono solo persone che non hanno dimenticato come si disegna, e per disegnare intendo creare. Ma non fatevi ingannare, hanno dimenticato moltissime altre cose. A volte si dimenticano che non hanno più otto anni. Ecco perché gli artisti sono per natura molesti.” E poi in un’altra conferenza dice che bisogna tornare bambini per ritrovare quel tipo di immaginazione, e che il buon senso e la razionalità non vanno molto d’accordo. “L’immaginazione ha vita propria e autonoma, l’immaginazione non è una cosa con cui giochi, è l’immaginazione che gioca con te. Ha il potere di creare e distruggere, di formare e deformare.”
Poi ho guardato alcuni dei suoi lavori di cancellatura, le erasures, perché Ruefle è anche un’artista di talento. E mi è venuto in mente che era tutto un lavoro per sopprimere la comprensione e creare qualcosa di nuovo a partire dalle parole pure.
E così finalmente ho capito, come in una sorta di epifania, che dovevo sospendere la logica. Esattamente come nella poesia. Anche perché non potevo farle cento domande su cinquanta pagine (via lettera poi, perché non ha il computer, scrive tutto a macchina). Nella sezione Contact del suo sito si legge: “Sorpresa! Non posseggo un computer. L’unico modo per contattarmi è scrivere alla mia casa editrice, Wave Press, oppure incontrare per strada qualcuno che conosco di persona.” Quando ho visto quella frase sul suo sito, praticamente dopo aver letto tre poesie, mi è venuta in mente la parola sassy, simpatica sfacciata e poi ho pensato, è matta. E poi ho pensato, non vedo l’ora di conoscerla.
Comunque a quel punto non so bene cosa sia successo, quando ho abbandonato la comprensione per il dubbio, ed è stato un po’ come entrare in uno stato di trance e lasciarsi guidare – forse anche commettendo errori ignobili, ma era il rischio da correre. Un po’ come succede con gli allucinogeni. E in effetti ho capito che leggere e tradurre la prosa-poesia di Ruefle è un’esperienza sinestesica, in cui senti colori e annusi parole e tocchi suoni.
Ovviamente gliel’ho scritto. Cioè in pratica mi sono immaginata un sacco di soluzioni di cose non solo difficili da tradurre (tipo giochi di parole di cui ho cambiato proprio il testo) ma a volte del tutto incomprensibili senza chiederle il permesso, senza la certezza che fossero giuste, come buttarsi in mare e nuotare di notte. E alla seconda lettera (gentilmente stampata e spedita con francobollo dal suo editor e poi via mail la risposta fotografata se no ci mettevamo due anni tra poste italiane e greche), quando le ho chiesto il significato di una parola contenuta in un brano già di per sé a dir poco astratto, ashling (che i vocabolari danno come sogno o visione in una rara accezione irlandese) lei mi ha risposto: ‘Oddio pensavo a ash, a cenere ma non ricordo dove ho trovato quella parola, o se l’ho inventata, ma che bello questo significato irlandese del sogno che hai scovato! Comunque usa l’immaginazione e inventati qualcosa che dia l’idea di sogno, oppure di cenere ma anche di albero, e fai che sembri piccolo, minuscolo… Magari tipo ashtray??’
Per un altro brano intero dove c’era un gioco di parole praticamente intraducibile mi ha scritto: “Oh sì che guaio. Vuoi che lo riscrivo? Anzi, riscrivilo tu! Cambia anche il titolo!”
In fondo a una delle lettere ha scritto: “Bellissima questa cosa che le lettere ci mettono settimane ad arrivare fino a te. Non ho mai messo piede su un’isola greca. È solida o spugnosa?” Eh. Bella domanda. Però mi ha fatto capire che dovevo vedere l’isola – e il mio modo di tradurre lei – toccandola con i piedi, annusandola con le mani, immaginando tutto con i sensi ribaltati.
Dopo varie riscritture, ho fatto un po’ di prove di lettura con alcuni amici, chiedendo di chiudere gli occhi e ascoltare senza sforzarsi di capire e mi hanno detto che funzionava, che cadevano in quello stato di trance e vedevano le immagini. Ho amici adorabili ma non compiacenti, quindi forse non finirò nell’inferno dei traduttori. E se anche fosse, probabilmente sarebbe una storia in stile Ruefle.
I received all of Mary Ruefle’s books from her editor at Wave about three years ago, and it was love at first sight. A mountain of beautiful books sitting close together in my bag, poetry and prose. It was not a canonical, passionate love, no, more like a feeling of deep closeness made of elective affinities and a constant, but not unpleasant – maybe because I like getting lost – sensation of being confused and out of my depth. A complex kind of love. Ruefle’s writing can be a source of strange awe – the mix of fear and fascination that perhaps I’d feel in front of a Martian – and make you lose your bearings. At some point you don’t understand anything anymore and just follow images, like Hansel and Gretel’s pebbles and crumbs. It’s fascinating if you just read it, but it’s a bit of a bummer if you have to translate it.
I had read all of her poetry as soon as I had the books in my hand. The feeling of being lost was definitely the same, but perhaps I kind of expected it in that form. The poems gave me keys to the rhythm, but not reasonable enough solutions.
So I decided to translate some fragments at random, one about colors and one with a more conventional structure – if ever Ruefle’s writing can be called conventional – to understand what else, besides images, could be my pebbles. Because I did see the images quite vividly, and I felt them, but I had to keep playing within the writing grid, which is never colloquial but always precise and aloof in its form – after all in the US her prose is sold in the poetry section, and it’s being taught in many creative writing MFA – but it is often very funny. Like, talking about menopause, “When you go crazy, you don’t have the slightest inclination to read anything Foucault ever wrote about culture and madness”.
Or “One thing is certain: I wouldn’t want to be a Christmas tree.” Or when she talks about shrunken heads wondering with genuine surprise why people don’t think about them very often.
After the first draft I was not at all satisfied. So I started watching her videos on YouTube. She says very serious things with an impassive expression – the classic deadpan, an expression that I always liked – but also crafty and mischievous at times. Then here and there she just comes out with a joke while remaining very serious, maybe with a tiny smile. In one lecture she says: “Artists are just people who have not forgotten how to draw, by which I mean create. But don’t be taken in; they have forgotten a great many other things. Sometimes they forget they are no longer eight years old. This is why artists are of a troublesome nature.” And then in another conference she says that we need to become children again to rediscover that kind of imagination, and that common sense and rationality do not go very well with it. “The imagination has its own independent life, the imagination is not something you play with, it is the imagination that plays with you. It has the power to create and destroy, to form and deform. ” Then I looked at some of her erasures, because Ruefle is also a talented artist. And it occurred to me that it was a way to suppress understanding and create something new from pure words. So I finally realized, like an epiphany, that I had to suspend logic. Exactly like with poetry. Also because I couldn’t ask her 100 questions in 50 pages (and send them by letter, because she doesn’t have a computer, she works only with her typewriter). In the Contact section of her website, she writes: “Surprise! I do not actually own a computer. The only way to contact me is by contacting my press, Wave Books, or by running into someone I know personally on the street.” When I checked her website, immediately after reading three poems, I heard the word sassy in my mind, and I thought, She is crazy. I can’t wait to meet her, she must be adorable. I don’t really know what happened next when I gave up understanding, and it was a bit like entering into a trance state and letting myself be guided – perhaps even making ignoble mistakes, but that was the risk I had to run. A bit like what happens with hallucinogens. And in fact, I realized that reading and translating Ruefle’s prose-poetry is a synaesthetic experience, in which you hear colours and smell words and touch sounds. Obviously, I tried – tried – to explain all this to her. In other words, I came up with a lot of solutions for things that were not only difficult to translate (such as puns I had to change the whole text for) but sometimes completely incomprehensible, and this without asking permission, without the certainty that they were right, like jumping in the sea and have a swim at night. And at the second letter (kindly printed, stamped and sent by her wonderful editor who also scanned and sent me her answer otherwise it would have taken years – Greece is paradise, but speed is not its forte), when I asked her the meaning of a word contained in a piece which is already abstract, to say the least, ashling (according to one of the many dictionaries I consulted it is a dream or a vision in a rare Irish meaning) she answered: ‘Oh ‘God I was thinking of ash, but I don’t remember where I found that word, or if I invented it, but how beautiful this Irish meaning of the dream you found! Anyway use your imagination and come up with something that gives the idea of a dream, or ash but also a tree, and make it look small, tiny…? Maybe like an ashtray??’ For another whole piece where there was a pun that was practically untranslatable, and she wrote, “Oh yes, that’s a problem. Do you want me to rewrite it? In fact, you should rewrite it! Change the title too!” At the bottom of one of the letters, she wrote, “Isn’t it beautiful this thing that letters take weeks to get to you. I’ve never set foot on a Greek island. Is it solid or spongy?” Ha. Good question. It made me realize, though, that I needed to see the island – and my way of translating her – touching it with my feet, smelling it with my hands, imagining everything with my senses turned upside down. After several rewritings, I did some tests with friends, asking them to close their eyes and listen without trying to understand. They told me it worked, they could see the images and get into a kind of trance too. I have lovely friends and I know for sure that they are not complacent, so maybe I won’t end up in translators’ hell. And if that were the case, it would probably be a Ruefle style story.