Sottovoce (Sarah Manguso)

Ho tradotto Sottovoce in un posto meraviglioso, da fiaba, da non crederci.

Un po’ come i disegni che ti fanno fare all’asilo. Disegna un paesaggio felice. E io facevo una casetta di legno, un fiume, quattro abeti, una nuvola, un cervo (un cilindro orizzontale con dei rami in testa e le zampe come matite, bruttino).

Ero in Canada, in una residenza per traduttori all’interno di un parco naturale. Tu stai lì e traduci, non devi pensare ad altro. Diventi un animaletto che mangia, dorme, cammina nei boschi e traduce. Non devi pensare a cose mondane come pulire, riordinare, fare la spesa, cucinare… e ogni due giorni c’è una tavola rotonda sulla traduzione. Sei con venti traduttori e parli quasi sempre di parole. Poi fai le passeggiate per pulirti la testa nel verde, nei verdi. Sono dei verdi che non avevo mai visto prima, o forse sì, nei ramarri o in certe rane, nei serpenti d’acqua, nelle piume delle anatre. Sono verdi di animali.

Nel verde ci sono sempre i cervi che non hanno paura degli umani e sembrano il cuore di un diorama, ci sono gli alci che assomigliano ai cavalli, ci sono i cani della prateria ciccioni e curiosi che corrono sempre e poi si alzano dritti sulle zampe dietro per guardarti meglio. Sei lì che cammini in un bosco e fai sempre piano, un po’ perché il bosco è silenzioso, con il tappeto di aghi e la moquette di muschio, un po’ perché è così bello che sembra fragile e in effetti lo è, un po’ perché speri di vedere un orso. Ti dicono di far rumore per allontanarli, ma io facevo sempre piano perché volevo vederlo, l’orso. Però  non l’ho visto lo stesso, purtroppo.

Ogni tanto spunta un animale e tu pensi, oh. E non trovi parole. Rimani lì con il battito che accelera e sorridi come se avessi visto la Madonna. Invece gli animali sono veri, hanno il pelo folto e i denti che sembrano sorriderti e gli occhi che ti fissano e quindi sono molto più magici della Madonna. D’altronde, Emily Dickinson diceva che sono migliori degli esseri umani ‘perché sanno, ma non dicono’.

Questo paradiso è durato tre settimane. E in mezzo a quelle giornate piene di parole e di oh e ah davanti agli animaletti, per quattro giorni, come da programma, mi ha raggiunto Sarah Manguso. I traduttori selezionati hanno il privilegio di far invitare l’autore su cui stanno lavorando. Tombola.

In questi piccoli quadri che compongono Sottovoce ci sono un po’ di cervi, e dei posti nel verde, oltre a case, scuole, ospedali. Io non sapevo dove si svolgessero queste scene, Manguso non lo dice quasi mai. Ma ero certa che quando c’erano i cervi erano residenze per scrittori, e ho capito d’istinto di dover mantenere il mistero. Tradurre Vergogna è stato tutto un levare. E un lavoro complicato per custodire il mistero.

Quando ho conosciuto Sarah ero stupita perché me l’ero immaginata minuta e nervosa. Invece è una donna molto alta e solida, sorridente, con gli occhi verdi, enormi. Penso abbia una laurea in guardare. La sera stessa ci siamo messe a parlare di case, non so bene perché, e io le ho fatto vedere una foto della mia casa spoglia e le ho detto che non tengo le cose e anzi ho imparato da Andanza a conservare un po’ più di oggetti e lei ha detto ‘OhChe sognoAnch’io amo le case spoglie.’ Era stupefatta all’idea che avessi imparato qualcosa da lei. Insomma ci siamo piaciute subito. In quei quattro giorni abbiamo passato tutti i pomeriggi a lavorare su piccole cose da limare e ridurre, a sfrondare, a parlare per capire, e per decidere cosa levare ancora. “Ancora. Leviamo anche questo. No questa frase non va neanche in inglese, togliamola del tutto. È più bello in italiano, più pulito. Così rimane la parola pura” e ci veniva da ridere, eravamo quasi euforiche per tutta quella pulizia. Un po’ come fare ordine in casa, cosa che piace a entrambe. E poi durante le passeggiate nei boschi e sul fiume e abbiamo incontrato gli animali e siamo rimaste senza parole insieme, che è una cosa speciale. Prima che partisse le ho spiegato il gioco dei riccioli dei soffioni che facevo sempre da piccola e pensavo fosse famoso in tutto il mondo (la megalomania di chi è nato in provincia), invece non lo conosceva. Prendi un gambo, lo giri al contrario tenendo la corolla, lo dividi in quattro e poi con l’indice spingi in basso creando quattro ciocche. Poi riempi una ciotola d’acqua e ci butti dentro il gambo e in qualche minuto le ciocche diventano ricci compatti, serrati. E lei mi ha fatto un complimento indimenticabile che fa anche un po’ ridere. Mi ha detto “Sono rapita da ogni parola che dici sulle mie parole. E poi riesci a rendere interessante anche un soffione.”

Questo libro ha poche parole, ma sono tutte scelte, pulite, lucidate tante volte, e da due persone insieme, scrittrice e traduttrice. E poi ancora levigate in redazione. Rimane una cosa compatta e magica come un ricciolo di soffione che ti fa, spero, ammutolire dalla bellezza. Come quando cammini piano nella foresta sperando di vedere un orso, e non lo vedi ma sei felice lo stesso.


(English)

I translated Hard to Admit, Harder to Escape in a wonderful place, a fairy tale, almost surreal.

A bit like the drawings they ask you to do in kindergarten. Draw a happy landscape. And I used to draw a little wooden house, a river, four fir trees, a cloud, a deer (a horizontal cylinder with branches on its head and legs like pencils, quite ugly).

I was in a translators’ residency in the middle of a national park in Alberta, Canada. You are invited for three weeks and all you have to do is work on your project, without having to think about anything else. You become like a little animal that eats, sleeps, walks in the woods and translates. You don’t have to bother about worldly things like cleaning, tidying up, shopping, cooking … and every two days there’s a round table. You are with twenty translators and you basically always talk about words. Then you go for long walks to clear your head in the green, in the greens. Greens I had never seen before, or maybe yes, on lizards or certain frogs, on snakes, the feathers of ducks. Animal greens.

In the green there are deer which are not afraid of humans and they are the heart of a diorama. There are elks that resemble horses, there are prairie dogs, chubby and curious and always running, apart from when they stop all of a sudden and get up straight on their hind legs to stare at you. You take long walks in the woods, silent and careful, partly because the forest is quiet, with carpets of needles and rugs of moss, partly because it  seems fragile and in fact it is, and also because you hope to see a bear. Everyone tells you to be loud and make noise in order to drive them away, but I never listened because I so wanted to see the bear. But alas, despite all my careful steps I didn’t.

From time to time a creature appears and you are like, oh. And you don’t find the words. You stay still with your heart racing, smiling as if you had seen the Madonna. But the animals are real, they have thick hair and teeth that seem to grin and eyes that stare at you and therefore they are much more magical than the Madonna. After all, Emily Dickinson said  (about dogs, but still)  they are better than human beings ‘because they know, but  do not tell’.

So I lived in this paradise for three weeks. And in the midst of those days full of words and of oh and ah in front of animals small and big, Sarah Manguso joined me for four days. Selected translators have the privilege of inviting the author they are working on. Bingo. In the tiny paintings that make up Hard to Admit, Harder to Escape there are deer and places in the green, as well as houses, schools, hospitals. I did not know where these scenes took place, Manguso hardly ever specifies it. But I was sure that when deer were mentioned, they were in writers’ residences and I knew instinctively that I had to keep the mystery. Translating Hard to Admit, Harder to Escape was all a levare, removing, subtracting. And it was an uncanny  job to keep the mystery in the translation. When I met Sarah I was surprised because I imagined her petite and nervous. Instead she is a very tall and strong woman, smiling, with huge green eyes. I reckon she has a degree in looking. The same evening we started talking about houses, I do not know why, and I showed her a picture of my very spare flat. I told her that I tend to discard memories and  things and that I learned while translating Andanza/Ongoingness to keep a little more. She said ‘Oh. That’s a dream. I love bare spaces too.“ She was amazed at the idea that I had learned something from her. We instantly liked each other. In those four days we spent every afternoon working on small things to be polished and cut, we pruned, we discussed and decided what else to eliminate. She kept saying:”Yes. We should also chop this. No, this sentence doesn’t even work in English, so take it out completely. It’s more beautiful in Italian, cleaner. Pure words only” and we giggled a lot, elated by all that cleaning. A bit like tidying up home, something which we both like. And then during our walks in the woods and along the river we met the animals and we were speechless together, which is a very special thing. Before she left I explained the game with dandelions that I always played when I was a kid, sure it was famous all over the world – the megalomania of country dwellers. She did not know it. You take a stem, turn it upside down holding the corolla, divide it into four and then with the index finger you push down creating four curls. Then you fill a bowl with water and throw them in and a few minutes later the curly stems become tight, compact locks. And Sarah came up with  an unforgettable compliment that also made me laugh. She told me something like “I am enchanted by every word you say about my words. You manage to turn even a dandelion into something fascinating!” This book has very few words, but they are all chosen, cleaned, polished many times, and by two people together, writer and translator. And then smoothed again by the editor and me, hopefully producing something as compact and magical as a dandelion that leaves you speechless for its beauty. Like when you move slowly and quietly in the forest hoping to see a bear, and you do not see it but you’re happy anyway.